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Da stasera la Dolomiti sfiderà l’Olimpia nella semifinale scudetto. Il capitano: ”Siamo pochi ma vogliamo continuare a stupire”

ROMA – E’ il simbolo di chi non credeva di potersi spingere così in alto. Toto Forray, 31 anni, argentino di nascita e italiano di adozione, è capitano e bandiera della Trento che alla terza stagione di serie A si è arrampicata dove finora mai era riuscita ad arrivare, la semifinale scudetto che la vedrà affrontare la grande favorita Milano: “E sia chiaro che per noi questo non è un punto di arrivo. Abbiamo lavorato duro per arrivare fin qui e vogliamo giocarcela fino all’ultimo secondo dell’ultima partita”.

Forray, da dove nasce tutta questa fiducia?
“Forse dal fatto che siamo una squadra che ha fame, che vuole vendere cara la pelle. Non siamo partiti bene ma strada facendo siamo cresciuti. Forse questo è il nostro modo di ribellarci a tutto quello che ci è successo in questa stagione”.

In effetti ve ne sono capitate di tutti i colori.
“A partire dal non aver potuto giocare le coppe, dopo la semifinale di Eurocup ci tenevamo a riprovarci e invece niente. Poi gli infortuni, uno dietro l’altro, tre compagni fuorigioco. Botte tremende, che avrebbero potuto stenderci”.

E invece?
“Invece ci hanno compattato ancora di più, chi è rimasto gioca anche per gli altri. Sarebbe stato facile mollare, in fondo avevamo fatto il nostro anche quest’anno in una situazione non semplice”.

Ha un segreto particolare questa Trento?
“Questa è la mia settima stagione qui, ormai Trento è la mia seconda cosa. La società ha sempre avuto le idee chiare su quale percorso di crescita seguire”.

I risultati parlano da soli: in sei stagioni dalla serie B alla semifinale scudetto.
“Qui nessuno ti mette fretta, non sei obbligato a dimostrare subito qualcosa. Ti danno il tempo di crescere, di sbagliare senza avere l’assillo del risultato a tutti i costi. È un club che sa aspettare. Nei momenti negativi , che non mancano mai in una stagione, è fondamentale. Questo ci ha permesso di rendere oltre le aspettative”.

Quanto conta avere in panchina un punto fermo come Buscaglia?
“Tanto. Il coach è uno che ti mette nelle condizioni di esprimere la tua pallacanestro senza troppi paletti, è uno a cui piace la difesa forte, che lavora tanto sulle spaziature in attacco. Avere lui in panchina e mantenere ogni anno un nucleo di giocatori significa partire da un gradino più alto rispetto a chi puntualmente stravolge la squadra”.

La semifinale contro Milano che traguardo è?

“Di sicuro non un punto di arrivo. Li affrontiamo sapendo che loro sono i favoriti, la squadra più forte del campionato. Ma non abbiamo nulla da perdere. Cercheremo di allungare la serie il più possibile, di mettergli pressione e farli andare in confusione”.

Partendo magari dal fatto che in stagione regolare siete stati gli unici a vincere al Forum.
“Quella vittoria l’abbiamo pagata a caro prezzo per gli infortuni di Baldi Rossi e Marble, ma ha confermato che nessuna squadra è imbattibile”.

Possibile trovare difetti a Milano?
“Non è una questione di difetti, ogni squadra ne ha, c’è chi è più bravo a mascherarli e chi meno. In una sfida secca Milano paradossalmente può anche pagare la panchina troppo lunga”.

In chi senso?
“Può succedere che chi entra dalla panchina fa più fatica ad entrare in partita rispetto ad una squadra più corta, come la nostra, dove tutti necessariamente devono stare sul pezzo. Ma questo è un discorso che può valere in una singola sfida, in una serie così lunga è davvero difficile. Chiunque di Milano può segnare una sera 20 punti e quella successiva giocare male perché tanto c’è un compagno che ne fa comunque 20”.

Che fa Forray, molla?
“Assolutamente no, siamo pochi ma abbiamo dentro una voglia matta di provarci”.

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