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La seconda azzurra a vincere un titolo Wnba racconta le sue sensazioni dopo la prima esperienza statunitense: “Ho imparato molto, spero di far vedere in campo questi insegnamenti”

ROMA – Il suo talento non era passato inosservato, aveva già fatto il giro del mondo. Si sapeva che per l’approdo in Wnba sarebbe stata solamente questione di tempo. In pochi, però, avrebbero immaginato di vederla subito dall’altra parte dell’Atlantico. Cecilia Zandalasini ha spiccato presto il volo, portando a Minneapolis la sua faccia pulita e quell’arresto e tiro che aveva fatto impazzire mezza Europa. Non ha avuto un ruolo di primissimo piano all’interno delle Minnesota Lynx, ma arrivando in corsa in una squadra di campionesse non poteva essere altrimenti. La sua prima esperienza statunitense si è conclusa nel migliore dei modi, con la vittoria del titolo Wnba al termine di una serie finale tiratissima contro le Los Angeles Sparks. Per una ragazza così giovane (classe 1996), l’inizio è stato da urlo. Ha firmato il quadriennale da rookie con la franchigia di fuoriclasse come Maya Moore, Sylvia Fowles e Seimone Augustus, ha provato il brivido dei parquet più famosi del mondo, togliendosi anche lo sfizio di trovare il fondo della retina. Ora torna a Schio da protagonista: il volto scintillante del basket femminile italiano riavvolge il nastro, raccontando i suoi due mesi di sogno americano.

Arrivare a giocare negli Stati Uniti è il sogno di qualsiasi cestista, farlo a 21 anni e vincere al primo colpo deve essere qualcosa di incredibile. Cosa ha provato nell’arco di questi mesi e che emozione è trovarsi sul tetto del mondo?

“Non c’è dubbio che l’America sia il sogno di tutti per quanto riguarda il basket, è un mondo incredibile. Ho provato tante cose in questo mese e mezzo, è stato breve ma intenso. So che è una frase fatta ma ritengo sia veramente azzeccata in questo caso. Tra viaggi e partite non ci siamo fermate un attimo, arrivare in corsa non è la cosa più semplice, che sia America, Europa o Italia. Ho avuto la fortuna di trovarmi in una squadra con la s maiuscola, sono stata accolta benissimo, mi hanno aiutata. Sono grata di essere entrata nella grande famiglia delle Minnesota Lynx. Ho vinto l’anello dopo un mese e mezzo, non ci sono parole per descrivere una gioia del genere, è bellissimo”.

Aveva già affrontato molte delle stelle della Wnba nel suo cammino europeo con Schio ma allenarsi e scendere in campo con fuoriclasse come Maya Moore, Sylvia Fowles e Seimone Augustus deve trasmettere delle sensazioni ben diverse: cosa si impara vivendo al fianco di leggende del genere?

“Le giocatrici con cui mi sono ritrovata sono dei mostri sacri della pallacanestro. A quei tre nomi aggiungo anche Lindsay Whalen e Becky Brunson che è diventata l’unica ad aver vinto cinque titoli Wnba in carriera. Parliamo davvero di persone che diventeranno leggende appena smetteranno di giocare, anche solo per quello che hanno fatto fino a oggi. Devo dire che ho imparato tanto e spero di riuscire a mettere in pratica questi insegnamenti, perché non è così semplice vedere e ascoltare delle cose e poi riportarle sul campo. Ho scoperto di nuovo di avere tanto da lavorare se voglio arrivare a certi livelli, è quello che farò appena tornerò in Italia. Questo è il mondo in cui vorrei stare, ho la fortuna di allenarmi e imparare da giocatrici del mio stesso ruolo come Maya Moore e Seimone Augustus, che sono tra le migliori al mondo. Non posso chiedere di meglio, voglio solamente diventare una giocatrice più forte e sono nel posto migliore per provare a esserlo”.

Durante il suo cammino in Wnba ha avuto modo di giocare in arene mitiche come lo Staples Center e davanti a un pubblico calorosissimo come quello delle Lynx. Come è stato l’impatto con una realtà così diversa da quella italiana?

“Che dire, le arene sono state una cosa di grandissimo impatto, clamoroso. Il pubblico delle Lynx non lo avevo mai visto, tutto esaurito da 15.000 persone. Per una partita di basket femminile non lo avrei mai immaginato, è impensabile. Queste sono le Finals, questa è l’organizzazione americana. Le arene sono davvero qualcosa di speciale, non so descriverle. Pensare di aver giocato allo Staples Center, dove Kobe Bryant ha vinto cinque titoli Nba, o a San Antonio dove sono scesi in campo per anni e hanno trionfato Tim Duncan e Manu Ginobili, è bellissimo. Sapere di calcare lo stesso parquet di grandissimo giocatori, sia uomini che donne, mi ha dato una grandissima sensazione”.

Dopo l’Europeo chiuso con quel chiacchieratissimo antisportivo che vi ha privato di un Mondiale che avreste meritato, aveva avuto la forza di non aggrapparsi all’ingiustizia e di lanciare un messaggio di tutt’altro tipo: “I love this game, forever”. La gioia di questo successo negli States può essere una sorta di risarcimento del destino?

“Non saprei se definirlo così, però un po’ ci credo al fatto che quanto ti viene tolto un domani ti viene ridato. Non voglio agganciare troppo queste due cose perché penso che se ci hanno tolto qualcosa con la maglia azzurra, è con quella che ce lo riprenderemo. L’ho detto dal primo giorno. Questa è un’esperienza a parte, un’altra strada che ho intrapreso. Se il destino esiste davvero, ci rifaremo tutte insieme in Nazionale”.

Raccoglie l’eredità dell’altra donna azzurra a vincere un titolo Wnba, Catarina Pollini, che ci era riuscita vent’anni fa: proiettandoci da qui ai prossimi venti anni, quali sono i passi in avanti principali che deve fare il basket femminile italiano? Sente sulle spalle tutto l’affetto di chi ha fatto nottata per vedere le sue gare di playoff?

“Ho visto che in molti mi hanno paragonata a Cata Pollini e la cosa mi sta un po’ scomoda, non mi sento all’altezza. Ho solamente ventuno anni, per ora mi sembra esagerato, lo dico con tutta l’umiltà del mondo. Sono felice di essere la seconda italiana ad aver vinto il titolo Wnba. Dopo l’Europeo, anche grazie a Sky che ci ha trasmesso, il movimento ha già fatto un salto in avanti e penso che ne siano accorti un po’ tutti. Dobbiamo continuare su questa strada, sicuramente il campionato italiano da dieci squadre non aiuta ma penso che in futuro ci sarà occasione per altri club di farsi avanti. Lo scorso anno noi di Schio abbiamo perso lo scudetto, non è un campionato ripetitivo, penso sia anche più entusiasmante se non vince sempre la stessa squadra, anche se forse non dovrei dirlo visto che parlo della mia Schio. Quest’anno torneremo per riportare a casa il titolo. Mi fa piacere che in tanti abbiano seguito le partite, il mio minutaggio è stato praticamente nullo ma queste sono le finali, le rotazioni erano molto ridotte. Sia noi che le Sparks abbiamo giocato praticamente in sette, mi do tempo, ho vissuto questa esperienza e ora vado avanti. Mi fa piacere che ci sia stata la possibilità di seguire il mondo della Nba femminile, male non può aver fatto: credo siano state cinque gare di altissimo livello, in pochi aspettavano uno spettacolo del genere”.

Ha già sentito, prima o dopo le finali, il nuovo coach della Nazionale, Marco Crespi?

“Ho parlato con il coach appena è uscita la notizia, ho sentito solo cose buone su di lui e il suo palmares è straordinario. Non vedo l’ora di lavorare con lui e di fare tante cose belle per la Nazionale”.

Ora non c’è sosta: subito in Turchia per l’Eurolega con Schio, quindi il campionato nel quale partite come favorite per la vittoria finale. Che stagione si aspetta?

“Atterro domenica in Italia, lunedì sarò a Schio, martedì si parte per Istanbul. Sarà un inizio di settimana un po’ duro per me ma va bene così, è quello che voglio fare, lo faccio più che volentieri. Sono contenta di tornare, la trasferta in Turchia sarà dura perché loro (lo Yakin Dogu Universitesi) hanno una squadra forte, reduce dal successo in Eurocup, e ci sarà da divertirsi. L’obiettivo è portare a casa lo scudetto, che Lucca ha vinto meritatamente lo scorso anno. In Eurolega abbiamo un girone difficile ma ogni partita è una storia a sé, faremo il massimo per fare bene anche lì”.

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