Condividi l'articolo

Le occasioni più grandi le ha avute la Roma con i pali colpiti da Bruno Peres e Dzeko, ma alla Lazio è mancato il cosiddetto killer instinct per vincere il derby. La squadra di Inzaghi ha sfiorato il gol tante volte, più di quante dicano gli highlights. A volte è mancato l’ultimo passaggio, altre volte un movimento, altre volte ancora la precisione nel concludere.

A fine gara lo 0-0 dell’Olimpico ha accontentato più o meno tutti: la Roma, che dopo l’impresa in Champions avrebbe firmato per uscire indenne da una delle stracittadine più importanti degli ultimi 10 anni per morale e classifica; e la Lazio, che dopo le sberle di Salisburgo non poteva permettersi un altro crollo, rischiando così di buttare in pochi giorni quanto di buono costruito in questi mesi. Non è successo niente di tutto questo. I biancocelesti avevano tutto da perdere dopo l’eliminazione europea, invece hanno reagito giocando alla pari contro una squadra forte e completa in ogni reparto. Gli uomini di Inzaghi sono partiti meglio, più aggressivi e tonici nei primi minuti, poi hanno saputo soffrire la grande pressione dei giallorossi che hanno preso campo alla distanza.

La Lazio ha chiuso in dieci per il solito rosso di Radu in una stracittadina (ne ha presi davvero troppi contro la Roma), ma nonostante il forcing finale della squadra di Di Francesco si è vista una formazione in grado di creare comunque palle gol con Milinkovic-Savic, Marusic e Luis Alberto. La prestazione è ottima per la capacità di resistere e lottare anche contro un avversario chiamato stanchezza. Resistere e lottare. Due caratteristiche che possono portare gli Inzaghi boys davvero lontani. Magari fino in Champions, obiettivo che la squadra meriterebbe dopo un’annata sempre in alto. Questa Lazio formato 2017-18 non merita di essere ricordata soltanto per quei rigori nella semifinale di Tim Cup contro il Milan e per quei famosi “dieci minuti di follia europei” della Red Bull Arena.

Lascia un commento