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TORINO – Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola, Lievesley, Egri Erbstein, Ferruccio Novo…ai più questi nomi dicono poco e nulla, ed è davvero un peccato perché sono stati dei veri e propri eroi nazionali: non sono soldati, politici o uomini influenti ma se oggi il nostro è un paese che ha saputo rinascere lo dobbiamo anche a loro.
Tutte le storie racchiudono al proprio interno un finale, che molto spesso è positivo ma questa volta invece non sarà così…è il 4/5/1949 quando, durante una pomeriggio terribilmente nebbioso pur essendo primavera, la basilica di Superga (uno dei colli più importanti di Torino) diventa teatro di una terribile tragedia: l’aereo su cui viaggiavano 30 persone, fra cui tutta la rosa del Torino pentacampione d’Italia e secondo team a riuscire in tale record dopo la Juventus degli anni ’30, si schianta a causa del mal funzionamento degli strumenti del velivolo dovuti al maltempo con conseguente mancata valutazione del pericolo da parte del pilota portando alla morte tutti i passeggeri.
Quel giorno l’Italia intera sprofondo’ nel dramma…
Ma ricordare solo quella data non è giusto e non rende onore a ciò che fu “Il Grande Torino”, per questo facciamo un salto indietro di 11 anni al fine di raccontare cosa fu, in vero, il mito granata: è l’estate del 1939, fra 3 mesi scoppierà la II° guerra mondiale quando l’industriale Ferruccio Novo assume la presidenza del Torino FC dall’ingegnere Cuniberti dopo avervi giocato negli anni ’10 ma senza mai esordire in prima squadra facendo capire da subito di voler riportare il Toro in alto contrapponendosi ai big-club che imperversavano o all’epoca nel nostro calcio come le celebri Juventus, Milan, Inter o nomi che allora spiccavano tipo Bologna, Pro Vercelli ma per farlo doveva puntare al meglio innanzitutto sotto il profilo dirigenziale…per tale ragione assumerà gli ex giocatori Jenna, Sperone (vincitori del primo scudetto torinista nel 1927/28), gli uomini d’affari Ellena, Agnisetta, Copernico e i tecnici Lievesley (appena ritiratosi da calciatore, proveniente dall’Inghilterra, con un ottimo curriculum nonché ideatore dell’avveniristico modulo a “sistema” basato sullo schieramento a “W” con disposizione a 3-2-2-3 in sostituzione del vecchio “catenaccio” tanto caro al nostro sistema sportivo fino ad allora), Erbstein (condannato a lavorare fino al 1946 sottotraccia a causa delle leggi razziali vigenti all’epoca nel paese) pure se il suo braccio destro sarà Vittorio Pozzo, colui che aveva portato la nazionale a vivere il ciclo più glorioso dalla sua fondazione (periodo 1934-1938 con 2 mondiali consecutivi vinti e in mezzo l’olimpiade del 1936).
In quel mese di giugno si porranno le basi di quella che molti, ancora oggi, considerano la squadra più forte, ammirata, applaudita della storia del calcio italiano: un II° posto ottenuto nel 1941/42 dietro alla Roma (primo team del centro-sud ad aggiudicarsi il tricolore) ma Novo è fiducioso poiché ha ormai una fuoriserie che ha costruito pazientemente per 3 anni pezzo dopo pezzo cominciando con Menti unito agli ex cugini Borel, Bodoira, Gabetto e completando il lavoro con il doppio acquisto di Loik, Valentino Mazzola (divenuto quasi subito capitano e bandiera del club nonché papà dei futuri fuoriclasse Alessandro e Ferruccio, campioni d’Italia con Inter e Lazio nel trentennio seguente…Sandro otterrà anche un oro agli europei del 1968, un argento ai mondiali del 1970 con la casacca azzurra) dal Venezia…molto tempo dopo Umberto Lenzini, Paolo Mantovani, Dino Viola proveranno ad imitare il dirigente torinese alla guida di Lazio, Sampdoria, Roma ma i risultati non saranno neanche lontanamente paragonabili seppur molto soddisfacenti fatti di periodi irripetibili.
Il ciclo del mito granata inizia nel 1942/43: la penisola è devastata dalla guerra in cui siamo entrati nel giugno 1940, al nord comandano ancora i fascisti mentre al sud è già iniziata la liberazione alleata ma proprio questa divisione (a causa della quale pure il fuoriclasse Silvio Piola verrà “arruolato” da Novo per il biennio 1943-1945 a causa dell’impossibilità di tornare a Roma alla “sua” Lazio) porta molti giocatori a doversi far assumere nelle industrie (nel caso di Torino e Juventus si parlerà, rispettivamente, di Fiat e Cisitalia) pur di evitare il fronte e continuare a giocare in un’epoca in cui per il calcio non ci stavano soldi e la gente era costretta a fare la fame senza neanche sapere il proprio futuro ma è proprio ora che il Torino contribuirà a regalare un sorriso ad una nazione che vedeva quasi tutto nero…proprio quella stagione i piemontesi si aggiudicheranno il I° “double” della storia italiana davanti a Livorno e Venezia (ex squadra proprio di Mazzola).
Seguiranno 2 anni in cui si giocheranno tornei di fascia territoriale: settentrionale, centrale, meridionale in cui i sabaudi non perderanno comunque la loro egemonia in attesa di tornare a respirare solo calcio…
L’apoteosi parte dal 1945/46 (annata in cui Gabetto sarà miglior marcatore del torneo con 22 reti): il dopoguerra, l’Italia in ginocchio, la povertà dilagante, ma soprattutto la voglia di ricostruire fanno da sfondo al III° scudetto della società conquistato davanti all’Inter e gli anni successivi la superiorità sarà addirittura più evidente…
Nel 1946/47 e 1947/48 assistiamo ai primi 2 tornei con 20 e 21 squadre conclusi con numerosi record davanti alla Juventus (che nel periodo 1942-1949 vincerà solo 2 derby, ed entrambi nei campionati di guerra) e al Milan nell’era dei 2 punti per vittoria: 104 e 125 gol realizzati oltre ad essere migliore difesa con al massimo di 35 e 33 reti subite senza tralasciare che è della primavera 1947 (anno in cui fu stilata la Costituzione e in cui Mazzola si laureò capocannoniere in Serie A con 29 segnature) il primato di ben 10 giocatori mandati in campo contemporaneamente con la maglia della nazionale contro l’Ungheria (l’unico “intruso” fu il portiere juventino Sentimenti IV° mentre pure i magiari misero in campo 9 effettivi della mitica Ujpest che dominava la propria federazione a quei tempi con la sola aggiunta di Hidekguti, Puskas) mentre al 1948 risale il risultato più largo di sempre della massima lega italiana (Torino-Alessandria 10-0 del 2/5/1948) assieme al maggiore distacco di punti mai visto prima fra i vincitori e i secondi (+16 e duello chiusa a 6 giornate dal termine per il primo “scudetto dei record” di sempre con una media di reti messe a segno per settimana compresa fra 3 e 5).
L’estate 1948 (intanto che Palmiro Togliatti rischiava la vita in un terribile attentato) porta il Torino a giocarsi varie amichevoli in Brasile contro Palmeiras, Portuguesa, Corinthians, San Paolo per internazionalizzare il proprio nome oltre a fare spettacolo (primo club italiano ad esibirsi in queste “tournée” antecedenti la “regular season”) ma quando riprende la stagione la compagine non appare minimamente affaticata e riparte a macinare risultati senza che ci siano scuse fino ad arrivare al 1/5/1949, alla partenza per Lisbona in vista di un’amichevole richiesta dal capitano del Benfica Ferreira per celebrare la sua festa di omaggio da parte della società contro la rappresentativa considerata più forte del mondo in quel momento e che avrebbe garantito 40.000 spettatori occupando tutto lo stadio scelto per l’evento (l’accordo era stato raggiunto nel febbraio addietro a seguito di un’amichevole a Genova Italia-Portogallo 4-1 in cui i giocatori avevano fatto amicizia nel post-gara durante una cena di “conciliazione”…a dispetto del Bologna capeggiato dal conte dall’Ara, con cui si era raggiunta una condizione di massima invalidata all’ultimo): il Toro, a quel punto, comandava a +4 sull’Inter con 5 turni ancora da sbrigare ma a completare l’opera non saranno loro…la partita finisce con la vittoria dei lusitani per 4-3 a cui sarà destinato il <<Trofeo Olivetti>>, proposto dai rappresentanti di tale industria in Portogallo.

Al ritorno in patria il 4/5/1949 tutta la squadra, unita ai giornalisti Casalbore (fondatore di “Tuttosport”), Renato Tosatti (padre di Giorgio Tosatti e giornalista della “Gazzetta del popolo”), Cavallero (di “La Stampa) oltre ai dirigenti arrivò all’aeroporto di Malpensa, a Milano, con l’intenzione di ripartire tramite treno in direzione Torino ma Carapellese, militante nel Milan, li incontrò lì per caso sostenendo di averli visti in condizioni fisiche troppo precarie oltre che stanchissimi (fra cui un Mazzola febbricitante) e desiderosi di tornare il prima possibile: verrà predisposto un aereo Fiat G.212 appositamente per loro ma quel fatidico 4/5/1949 su tutto il Piemonte si è abbattuto un nebbione omerico, il pilota chiama la torre di controllo dicendo <<NON RIUSCIAMO AD ARRIVARE DIRETTI A TORINO, SIAMO A 2000 METRI, TAGLIAMO SU SUPERGA…>> ma l’altimetro era impazzito con i metri da terra che erano forse 500 e alle 17:05 il disastro fu inevitabile…il primo ad accorrere sul luogo, assieme al parroco del posto e agli abitanti fu John Hansen (giocatore juventino), che appena arrivato riconobbe Pozzo fra i presenti (licenziatosi tempo prima per dissapori proprio con Novo) soccorrendolo a causa del malore avuto dall’ex allenatore in quell’istante per lo shock di quella scena terribile fatta di corpi sembrati e macerie (proprio l’ex ct dell’Italia sarà fondamentale per il riconoscimento delle vittime, fra le quali non compariranno solo il celebre telecronista Nicolò Carosio, la riserva Toma’ e il giovane affiliato della primavera Luigi Giuliano, allettato con l’influenza e quindi rimasto a casa).
Ai funerali partecipò un milione di persone in tutta la città, compresa la sponda zebrata, dimenticando per un giorno una rivalità tra le più sentite di fronte ad un evento che prevarico’ ogni cosa mentre l’Italia intera dedicò nomi di strade (“Piazzale Grande Torino” a Marino, vicino Roma o “Via Grande Torino” a Sanremo), stadi (lo stadio della capitale, per esempio, verrà ribattezzato da “Stadio del PNF” a “Stadio Torino” fino al battesimo dell'”Olimpico” in occasione dei giochi olimpici del 1960) in preda alla commozione per quel collettivo mitologico e tante squadre come Fiorentina, Alessandria, River Plate, Palmeiras, Benfica organizzeranno iniziative di raccolta fondi per le famiglie delle vittime oltre che per la società stessa testimoniando l’eco che ebbe tale avvenimento a livello mondiale (saranno fra i primi a ricevere onorificenze simili fondando proprio allora i gemellaggi oltreconfine che durano ancora adesso) portando la nazionale a recarsi in Brasile per i mondiali, l’anno dopo, in nave per non correre rischi simili…il campionato lo finiranno i ragazzi della primavera continuando la tradizione del “quarto d’ora granata” (i 15 minuti del secondo tempo in cui gli 11 in campo producevano il massimo sforzo per portare a casa il risultato che tanta soddisfazione aveva dato in quegli anni conducendo a risultati mitologici come Roma-Torino 0-7 del 28/4/1946, Roma-Torino 1-7 del 5/10/1947 o Torino-Lazio 4-3 in rimonta del 30/5/1948…nel caso di incontri in casa i 15 minuti partivano nel momento che il “trombettiere ufficiale” dello stadio iniziava a suonare) nel mitico stadio “Filadelfia” (recuperato dal degrado circa 7 anni fa divenendo l’impianto casalingo della primavera granata) contro i loro pari età di Genoa, Palermo, Sampdoria, Fiorentina in segno di rispetto ma ormai era troppo tardi…il “Grande Torino” era volato via per sempre.
A essi sono dedicati film (“Il Grande Torino” del 2004) o libri (“Agenda Granata 2” del 1999) inneggianti alla loro grandezza oltre a simpatici aneddoti di club rivali: è il 1946 e il Toro è sotto 2-0 a Bergamo contro l’Atalanta quando Mazzola rientra in campo tirandosi su le maniche mentre dice ai suoi <<qui non si può più scherzare…bisogna dare una svolta>>…beh, la rimonta finale per 2-5 fu decisamente una svolta; oppure quando mister Giovanni Degni della Roma, dopo aver rilasciato un’intervista lunga, dettagliatissima prima di un Roma-Torino del 1947 raccontò tutto il suo piano tattico per fermare quella macchina da gol uomo per uomo ma proprio al primo minuto di gioco Castigliano realizza di testa lo 0-1 e l’allenatore giallorosso gridera’ in panchina mettendosi le mani fra i capelli <<mannaggia a me…me so’ scordato Castigliano!!!!!!>>.
In occasione dei 70 anni di quella sciagura tutta l’Italia del pallone si deve fermare e tributare il miglior ricordo possibile, magari mandando delle delegazioni di tutte le squadre a Superga con fiori o “regali”, a chi ha scritto alcune delle pagine più importanti nella storia di questo sport senza nemmeno ricevere i giusti compensi economici che avrebbero ampiamente meritato soprattutto per l’epoca in cui ciò avvenne: con una nazione intera che voleva risorgere dalle sue ceneri dopo anni terribili avendo come svago solo la radio che trasmetteva esclusivamente il ciclismo (solo 2 mesi dopo Coppi vinceva il “double” Giro d’Italia-Tour de France essendo rivale di Fausto Coppi essendo l’ultimo italiano a riuscirci prima di Marco Pantani nel 1998) e il calcio…IL TORINO NON AVEVA GIOCATO A PALLONE PER L’ITALIA, IL TORINO ERA STATO L’ITALIA…E SICURAMENTE LA SORTE VOLEVA FARGLI GUADAGNARE IL POSTO CHE MERITAVANO NELL’OLIMPO DEI GRANDI SENZA VEDERE DI PERSONA LA PESSIMA FINE CHE AVREBBE FATTO UNA DISCIPLINA SPORTIVA COSÌ MERAVIGLIOSA A CUI LORO TANTO AVEVANO CONTRIBUITO.
Molti, fra cui chi scrive, sono concordi nel dire che solo il fato poteva renderli immortali facendoli uscire dalla storia per entrare nella leggenda come affermò Indro Montanelli al “Corriere della Sera” 3 giorni dopo quell’orribile pomeriggio: il Grande Torino non è morto e non morirà mai, è solo “in trasferta” assieme a personaggi successivi illustri della sua storia come Giagnoni, Pianelli e Radice, Mondonico a godersi degli eterni ed emozionanti tornei triangolari con il Manchester United del 1958 perito nel famoso disastro di Monaco di Baviera (in cui si salvarono in pochissimi fra cui il regista futuro campione del mondo Sir Bobby Charlton) e la Chapecoense finita nel 2016 poco prima della finale di Copa Libertadores a cui approdarono come matricola sudamericana nello stadio del Dio “Eupalla”.
Oggi più che mai…onore al Grande Torino, da 70 anni nella leggenda!




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