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MILANO – Quando si pensa al derby di Milano, difficilmente non si fa affidamento alla memoria e al passato.

L’Inter e il Milan hanno monopolizzato per anni la scena calcistica globale sfidandosi a suon di campioni fino al rallentamento degli ultimi 6 anni.

In attesa che i 2 club si diano battaglia domenica 21 ottobre, immaginiamo di tornare indietro nel tempo a riesplorare la storia di un match che racchiude dentro di sé 36 scudetti, più 60 trofei italiani, 10 Champions League, più di 150 stranieri conosciuti in tutto il mondo e rimasti nella storia pure dopo il loro ritiro.

Il protagonista stavolta sarà un fuoriclasse assoluto, un giocatore che ha vissuto l’era più bella della stracittadina meneghina dalla parte dell’Inter e che quando giocava faceva brillare gli occhi per la sua immensa tecnica, per l’enorme intelligenza tattica, ma soprattutto per l’umiltà che lo contraddistingueva permettendogli di essere colui che cantava e portava la croce allo stesso tempo: LOTHAR MATTHAUS, UNA LEGGENDA VIVENTE.

È il 1988: il Milan ha appena alzato al cielo il suo primo scudetto dell’era Berlusconi nonché il primo scudetto dopo ben 9 stagioni e sono appena terminati gli europei di GermaniaOvest che hanno visto l’Olanda imporsi sull’URSS con 2 nomi a noi molto noti: Gullit e VanBasten…Durante la sessione estiva il presidente Ernesto Pellegrini decide che non può più aspettare, vuole strappare il tricolore ai cugini, riportarlo in nerazzurro e per farlo non bada a spese…fuori gli assi dolenti e dentro il cemento armato di 3 stranieri:l’argentino Diaz e la ditta tedesca Brehme&Matthaus (già conosciuti in abbondanza dai nostri giornali grazie alle performance con il Bayern e la nazionale teutonica negli anni precedenti).

Il regista arriva a Milano con un esborso

di 5,6 miliardi di lire e poche volte un investimento si rivelò così ben assortito:giocatore tra i più dinamici,versatili,adattabili,umili mai visti dalle parti dei navigli diverrà dalla prima gara ufficiale il faro del centrocampo di Trapattoni (l’allenatore di cui parla meglio ancora oggi) e trasformerà un buona squadra in una macchina perfetta che quell’anno schiaccera’ senza pietà chiunque laureandosi INTER DEI RECORD (58 punti in 34 gare) trasformando anche sé stesso in un giocatore sempre più completo grazie all’aiuto del mister che lo responsabilizzera’ maggiormente.

Militera’ nella “Pazza Inter” per 4 lunghe stagioni in cui l’Inter darà inizio ad un mini-ciclo fatto di 1 scudetto, 1 supercoppa Italia, 1 coppa Uefa senza tuttavia impensierire l’egemonia rossonera sul piano dei titoli…le maggiori soddisfazioni le avrà in 3 occasioni: quando segnerà la punizione decisiva contro il Napoli di Maradona per il tricolore, quando dal dischetto trafiggera’ la Roma in finale europea contribuendo a riportare una coppa internazionale ad Appiano Gentile dopo 27 anni di attesa, ma soprattutto quando aiuterà ad allontanare un pezzo di tricolore dalle maglie dei diavoli con il suo unico gol nel derby del 18 Marzo 1990 (gara finita 1-3 e che sarà fra le decisive a fine anno per il 2° posto dei rivali cittadini alle spalle del “Pibe De Oro”&Co.) sullo stesso dischetto dal quale l’anno dopo sbloccherà Inter-Roma 2-0.

È vero, nel derby ha segnato solo una volta ed ha fatto pochi assist…ma se chiedete ai suoi dirimpettai rossoneri (VanBasten, Baresi, Ancelotti, per citarne alcuni) quale sia stato il centrocampista con il numero 10 sulle spalle più forte che abbiano affrontato in quegli anni molti non hanno dubbi: quel ragazzo nato ad Erlangen il 21/3/1961, vincitore di un europeo e di un mondiale ENTRAMBI NELLA “SUA” ITALIA (1980 e 1990), capace di arrivare sempre fra i primi 2 nelle sue partecipazioni alla Coppa Rimet (1982,1986,1990), partecipante a 5 mondiali (record per pochi eletti come Buffon e Marquez) e 4 europei consecutivi di cui 3 e 2 da capitano, pallone d’oro nel 1990, vincitore in Germania con Monchengladbach e Bayern avente un curriculum di 21 anni di carriera nel 1979-2000 che quando entrava in campo piazzava lo spunto nel momento meno atteso con scatti di 60 metri palla piede o illuminava la manovra giocando quasi da fermo facendo correre quasi solo la palla, era inesorabile su ogni calcio piazzato, amava fare gol e dispensava assist a grappoli…quel ragazzo aveva un nome e un cognome (usato successivamente da Bebeto per il nome di suo figlio): LOTHAR MATTHAUS, IL PANZER DELL’UMILTA’.

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