Condividi l'articolo

ROMA – L’Europa, dopo la II° guerra mondiale, è stata spartita per 50 anni dal muro di Berlino che divise il continente in 2 blocchi: capitalista e socialista…il primo si identificava in Germania Ovest, Inghilterra, Italia, Francia, Spagna (tutte sotto gli USA e aderenti alla NATO) mentre il secondo si vedeva rappresentato soprattutto da Jugoslavia, Romania, Polonia, Bulgaria (l’URSS collaudava e il Patto di Danzica vincolava tutti). Nell’orbita orientale gravitava anche una piccola nazione che fece gola in molte occasioni passate per la sua posizione al centro del territorio ma che nell’Era comunista conobbe miseria, sofferenza, difficoltà da cui uscirà solo nel 1993 all’indomani della “Guerra Fredda”: la Cecoslovacchia, che si separerà poi in Repubblica Ceca e Slovacchia.
E proprio nella zona dei Sudeti, la regione della Repubblica Ceca vicino a Plzen, si trovano Cheb e Skalna’…2 città dove nascerà e crescerà, nell’estate del 1972, una delle più grandi leggende della storia del calcio nazionale: Pavel Nedved, la “furia ceca”.
Viene notato subito a 5 anni dalla squadra comunale, il Tatran Skalna, e vi rimane fino al 1985 per tornare l’anno successivo nella sua città natale a giocare nel Cheb ma già dopo 12 mesi viene assoldato dalle giovanili del Viktoria Plzen nelle successive 4 stagioni fino al 1990.
Solo all’indomani del crollo del regime arriva la sua grande occasione: il Dukla Praga lo tessera nel 1990 e 1991/92 arriva l’esordio fra i professionisti con il magro bottino di 19 presenze e 3 gol.
Il successivo contratto quadriennale allo Sparta Praga gli porta 3 campionati nazionali consecutivi (1992/93, 1993/94, 1994/95) e una coppa nazionale (1995/96) oltre a 98 gettoni con 23 reti ma ormai il suo paese gli sta stretto e accetta immediatamente la prima grande proposta della sua carriera: è l’estate del 1996 e Nedved è appena tornato dall’Inghilterra, in cui ha disputato la finale degli europei persa contro la Germania, quando la Lazio di Cragnotti lo acquista per 9 miliardi…è il salto di qualità che gli serviva ed ora potrà venire a misurarsi con i migliori del mondo nel campionato più bello di tutti.
Ormai il nostro protagonista è un centrocampista completo tecnicamente ed instancabile atleticamente in grado di giocare sia come mezz’ala a 3 che come ala a 4 soprattutto sulla fascia sinistra (molto utile sia per crossare che per rientrare e tirare di destro), implacabile su punizione, ottimo su corner e rigore, inesauribile a livello di sacrificio oltre che di cattiveria in fase offensiva, con grande propensione all’assist per i compagni, chirurgico nel tiro da lontano ma l’adattamento non sarà facile…la Serie A non è la massima lega ceca…
Il I° anno (1996/97) si chiude senza titoli ma compensato con un rapido e insperato inserimento del calciatore nella nuova dimensione ma il rapporto con gli allenatori Zeman e Zoff non decolla e a giugno arriva Eriksson, uno degli uomini chiave della crescita di Nedved assieme a Uhrin, Bruckner, Lippi. L’annata 1997/98 segna l’inizio del ciclo più glorioso della storia biancoceleste, con quella che è ormai una formazione da sogno e piena di fuoriclasse: vittoria in Coppa Italia con il Milan e Supercoppa Italia (con la prima firma del ceco nell’1-2 finale) in casa della Juventus ma sconfitta all’ultimo atto di Coppa UEFA davanti all’Inter (I° finale internazionale del club). Nel 1998/99 arrivano anche le prime soddisfazioni europee: Coppa delle Coppe (con match-winner proprio l’esterno biondo per il 2-1…sarà l’ultimo gol nella storia della competizione dopo quasi 40 anni: quella sarà l’ultima edizione di tale trofeo e primo trionfo internazionale dei romani) contro il Maiorca e Supercoppa Europa contro il Manchester United anche se il fuoriclasse si troverà limitato da un brutto infortunio che lo ferma per un lungo periodo. Sembra andare tutto a meraviglia: Cragnotti è sempre presente e spende alla follia, Eriksson è maestro di turn-over non volendo trascurare nessun titolo ma non risparmia quasi mai il suo gioiello avendone compreso l’importanza fino in fondo, ormai i nomi come Nesta, Vieri, Veron, Simeone, Stankovic, Salas abbondano e i risultati arrivano attraverso moduli assortiti come il 4-4-2 e il 4-5-1…ma manca ancora lo scudetto, quello scudetto che a Formello attendono da 26 stagioni. Nedved ormai si sente un aquilotto anche lui e si ingegna pure più degli altri per riuscire a regalare il tricolore ai suoi tifosi, magari proprio nel centenario del team; il 1999/2000 sarà la tappa più trionfale del soggiorno romano: Scudetto, Coppa Italia, Supercoppa Italia tutti e 3 in rimonta su Juventus e Inter (altra segnatura del boemo in finale di coppa nazionale). Sembra una favola senza fine ma a Formello inizia serpeggiare il fantasma del fallimento a causa dei debiti per i troppi soldi investiti e la società deve cedere tutti i suoi artisti per fare cassa oltre a fronteggiare dissapori sopraggiunti con alcuni di essi: l’estate del 2001 la Juventus riesce ad accaparrarsi il centrocampista per 75 miliardi assieme ad altri arrivi tipo Buffon, Thuram ma a Roma il bottino del giocatore sarà stato incredibile: 207 gare e 51 segnature oltre a 7 trofei.
I primi tempi in bianconero del 2001/02 fanno registrare un “caso Nedved”: Lippi non sa come restituire rabbia ed energia a quello che fino a poco prima era uno dei più forti funanboli del torneo, caduto in una pesante involuzione fisico-tattica. Sembra la fine ma a dicembre il mister ha il lampo di genio: inserire il nuovo campione nel ruolo di trequartista in un inedito 4-3-1-2 alle spalle di Del Piero e Trezeguet…è la svolta che ribalta tutto riportando il titolo nazionale a Vinovo dopo 4 anni (la stagione del «5 Maggio 2002») in un estenuante maratona con Inter e Roma risolta solo al fotofinish prima della Supercoppa Italia. Nel 2002/03 vive la vittoria del suo ultimo scudetto riconosciutogli oltre alla III° Supercoppa di lega ma sarà enorme la delusione per l’ammonizione rimediata in semifinale di Champions League durante Juventus-Real Madrid…cartellino che gli costerà l’occasione di una vita: giocare la finale a Manchester contro il Milan (disputa chiusasi con la vittoria rossonera ai rigori)…ma il destino restituisce sempre ciò che toglie, e proprio a dicembre 2003 gli viene conferito l’unico Pallone d’Oro della bacheca eguagliando il solo connazionale riuscito in tale impresa 40 anni prima: Josef Masopust.
Dal 2003/04 in poi la “vecchia signora” vince solo 2 tricolori che le verranno revocati con l’inchiesta di “Calciopoli” nel 2006 dovendo accettare anche di retrocedere in Serie B per la prima volta nella storia…Nedved è ormai un idolo della curva e accetta di restare in riva al Po con Buffon, Camoranesi, Del Piero, Trezeguet per stringere un patto di sangue al fine di ritornare subito in massima categoria vincendo, magari, anche il campionato cadetto al contrario di Cannavaro, Thuram, Zambrotta, Vieira, Ibrahimovic che sceglieranno tutti di andarsene nel mezzo del putiferio. La stagione del ritorno gli permette di arrivare a 300 presenze con gli zebrati e il 31/5/2009 annuncia il suo ritiro a seguito della sua 501esima partita da professionista condita da 110 gol segnati…quale palcoscenico sarebbe stato migliore di Juventus-Lazio per chiudere il sipario venendo applaudito da tutto lo stadio, compreso il settore ospiti, dopo 247 gare e 51 reti all’ombra della Mole Antonelliana? Nessuno, assolutamente nessuno…e infatti così sarà. 
Il suo percorso in nazionale inizia il 5/6/1994 in Irlanda-Repubblica Ceca 1-3 (ultima amichevole dei britannici prima del mondiale statunitense) e termina il 16/8/2006 in Repubblica Ceca-Serbia 1-3 (prima amichevole per entrambi dopo il mondiale tedesco)…in mezzo vi sono 91 apparizioni, 18 timbri, 1 mondiale (2006) e 3 europei (1996, 2000, 2004), 1 Confederations Cup (1997) giocati da capitano con 3 medaglie di bronzo (1996, 1997, 2004) a coronamento del periodo più fiorente della rappresentativa boema.
A un anno dal ritiro diviene, in un mese, consigliere d’amministrazione e componente del board della Juventus per essere poi nominato vicepresidente nel 2015 e conservare il posto fino ad ora.
Non è mai stato un grosso esempio di sportività: fu accusato molto spesso di simulare, essere troppo scorretto nei contrasti, polemico nei momenti di tensione…ma sono stati in pochi ad adeguarsi rapidamente ad un calcio tosto e dinamico come quello italiano nel secolo scorso senza avere paura di nessuno con qualunque maglia tenesse addosso oltre a farsi ammirare per tecnica, impegno, sacrificio, velocità da ogni suo stadio: Pavel Nedved, la “furia 

Lascia un commento