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ROMA – Questa non è solo la parabola di un calciatore, è la storia di una vita…di una squadra…di una città intera, che vivono assieme anni irripetibili. Ma è anche una parabola che si conclude nel modo più inaspettato e drammatico: sono quasi le 8,00 di Lunedì 30 Maggio 1994 quando, in una bella villa a San Marco di Castellabate in provincia di Salerno, un colpo di pistola squarcia il silenzio del mattino…Agostino Di Bartolomei, ex capitano della Roma che appena nel decennio precedente aveva toccato i più alti livelli della sua storia, si è ucciso sparandosi al petto con la sua arma da fuoco personale; una data che racchiude molto di più di ciò che appare poiché quel giorno ricorreva il X° anniversario della finale di Coppa dei Campioni persa dalla sua Roma contro il Liverpool nello stadio di casa.
Siamo a Roma nell’Aprile del 1955 quando Agostino viene alla luce da un’umile famiglia del quartiere popolare di Tor Marancia; cresce giocando a calcio sotto casa con i compagni della zona ma già da piccolo viene notato, durante una partita con il suo oratorio, da un osservatore dell’OMI (società satellite della Roma) e vi si trasferirà fino a 13 anni essendo già un ottimo regista ambidestro, chirurgico su punizione, infallibile su rigore (tirando quasi sempre forte e centrale), capace di ribaltare le azioni con lanci millimetrici di svariati metri, con un tiro potentissimo e preciso soprattutto dalla distanza (da cui i celebri motti “Agostino tira la bomba” e “Ago, Ago, Ago, Agostino gol”) avente un’intelligenza tattica che gli permetteva di sopperire alla sua scarsa velocità pensando prima degli altri dove sarebbe finito il pallone.
La prima grande occasione della sua vita arriva nel 1968, quando viene notato dagli osservatori del Milan e della Roma (le squadre della sua vita) ma la famiglia non approva di farlo andare via di casa in età di scuole medie. Il tesseramento con la Roma poco tempo dopo lo porta a giocare nelle giovanili giallorosse fino al 1973: esordisce in Serie A il 22/4/1973 a 18 anni appena compiuti durante Inter-Roma 0-0 avendo Trebiciani (traghettatore fra l’esonero di Herrera e l’arrivo di Scopigno) in panchina ma le prime soddisfazioni verranno proprio da quel momento con i 2 “double” (gli unici della storia giallorossa) conquistati nella Primavera durante il biennio 1972-1974 con 2 scudetti e 2 coppe nazionali di categoria in un team da sogno assieme a compagni tipo Sandreani, Santarini, Scala, Sella, Conti, Peccenini, Ranieri, Vichi e ancora Trebiciani assieme a Bravi nel ruolo di guide tecniche oltre alle 8 presenze unite a 7 gol in Nazionale Under-21 pure se il suo trascorso in maglia azzurra si esaurirà nel lustro 1973-1978 senza mai accedere alla rappresentativa maggiore (davvero un’ingiustizia per il valore del giocatore…ma la concorrenza era spietata sia a centrocampo che in difesa con nomi incredibili tipo Antognoni, Baresi, Scirea).
La stagione 1973/74 lo vede realizzare il suo I° gol fra i professionisti il 7/10/1973 alla I° giornata in Roma-Bologna 2-1 (unico di tale periodo) oltre ad essere l’annata di lancio definitiva in massima lega con 23 presenze e un minutaggio sempre maggiore mentre l’anno successivo centrerà con la squadra lo storico III° posto tanto celebrato dai romanisti di tale epoca, abituati a ben altro a quei tempi, suscitando la sua mitica citazione «ESISTONO I TIFOSI DI CALCIO, E POI ESISTONO I TIFOSI DELLA ROMA».
Nel 1975/76 Anzalone lo presta al Vicenza proprio di Scopigno per riprenderlo 12 mesi dopo a fronte di 37 gettoni e 5 reti nella prima esperienza da titolare stabile.
Tornato nella sua città, vestirà per altri 8 anni consecutivi la maglia capitolina divenendone capitano a fine decennio e saltando pochissime gare (sarà espulso solo 1 volta: contro la Juventus nel 1979 assieme a Virdis oltre a collezionare pochissimi richiami o ammonizioni) trovando spesso la marcatura personale oltre a divenire leader della formazione con o senza fascia al braccio (indossata per 146 occasioni) grazie al carisma destato nell’ambiente nonostante l’essere taciturno, schivo ma capace di parlare solo al momento opportuno al fine di farsi seguire ciecamente da tutti.
La svolta definitiva arriva nell’autunno 1979: Dino Viola rimpiazza Gaetano Anzalone come presidente e richiama Liedholm a Roma dopo 3 anni per prendere il posto di Scopigno, Giagnoni, Valcareggi…lo svedese ha appena vinto il X° scudetto della storia del Milan ed è un “zonista” convinto che porta a Trigoria un modo di giocare tutto nuovo basato su possesso di palla veloce ed esasperato con verticalizzazioni improvvise sommate a cinismo sotto porta improntato con il più genuino 4-4-2 in linea…
Per “Ago” è il terreno migliore dove mettersi in mostra con un club che è ormai ad alti livelli dopo la “Rometta” dei bassifondi calcistici nella decade precedente: Tancredi, Turone, gli stessi Santarini con Conti, Scarnecchia e molti altri contribuiscono a riportare un trofeo alla Roma dopo 11 anni conquistando ai rigori la Coppa Italia contro il Torino in casa (malgrado l’errore, insolito del capitano dal dischetto nella serie finale) nel 1980.
L’anno successivo arriva un 27enne brasiliano che verrà subito insignito del titolo di regista assieme al nostro protagonista: si chiama Paulo Roberto Falcao e stabilirà da subito un legame incredibile con Agostino (a dispetto di chi, fra tifosi e media locali, già vedeva un dualismo di difficile gestione per chi dovesse spadroneggiare il reparto) dividendoci il centrocampo assieme all’altro neo-arrivo Ancelotti e all’altro prodotto del vivaio Conti. Di Bartolomei prende per mano i suoi e li trascina a lottare per lo scudetto dopo 39 tornei contro la Juventus perdendolo solo dopo un controverso scontro diretto in trasferta a 2 turni dal termine (lo 0-0 con il gol annullato a Turone che fu, molto probabilmente, regolare e avrebbe quasi sicuramente regalato la vittoria finale ai romani) ma ciò incattivisce i giallorossi che riconquistano la loro IV° Coppa Italia ancora contro i granata ma stavolta vincendo ai rigori in trasferta.
Durante il ritiro estivo del 1982 (dopo un anno di leggero calo collettivo) “Il Barone” scandinavo ha ormai rodato la sua creatura e decide di arretrare il capitano da metronomo della zona nevralgica a libero di difesa poiché aveva avuto un’idea, per l’epoca, rivoluzionaria: inserire un centrocampista accanto al nuovo e velocissimo stopper Vierchwood  per guadagnare una fonte di gioco supplementare al fine di invischiare gli avversari ancora di più nella “ragnatela” giallorossa. Sarà un trionfo: la Roma vince il suo II° scudetto dopo 41 anni e “Diba” gioca in 28 occasioni su 30 segnando 7 volte, ricordando con particolare affetto il rigore contro il Verona, il raddoppio contro il Genoa, la doppietta con il Napoli su punizione, l’altra punizione decisiva a Pisa, lo sblocco del risultato con il Catanzaro, il raddoppio contro l’Avellino a 2 partite dalla fine il 1/5/1983 (dirà nel pre-partita, sapendo bene dove condurre la sua “ciurma”: «IN PORTO CI ARRIVIAMO SICURAMENTE, VEDIAMO DI ARRIVARCI COL VESSILLO», e dopo aver segnato si lascerà andare ad un urlo liberatorio fra le lacrime mentre alzava i pugni al cielo sotto la pioggia…ormai aveva capito anche lui che ce l’avevano fatta)…la settimana dopo il tricolore diviene realtà dopo 41 anni grazie all’1-1 in casa del Genoa con il vantaggio siglato da Pruzzo su assist proprio del capitano e durante i festeggiamenti pure Agostino si lascerà andare ad una risata sincera, una risata che diventerà sorriso all’ultimo match casalingo ancora contro il Toro terminato 3-1 a 7 giorni di distanza durante il giro di campo della squadra con un enorme bandierone dell’Italia sotto l’osanna di tutto il popolo romanista: Roma ha vinto!
Il 1983/84 è un’annata storica: per la II° volta i lupi devono difendere il titolo di campioni d’Italia, vogliono riconquistare la coppa nazionale dopo 3 stagioni, per la I° volta giocheranno la Coppa dei Campioni con la finale fissata proprio allo stadio “Olimpico” di Roma…Di Bartolomei e i suoi lo vedono come un chiaro segno premonitore, la storia è a portata di mano, bisogna però coglierla e stringerla forte soprattutto dopo l’arrivo di Graziani e Cerezo a rinforzare l’organico ulteriormente (Tancredi, Nela, Maldera, Falcao, Conti, Ancelotti, Pruzzo erano i veterani assieme al capitano…sicuramente la migliore formazione della leggenda romanista). Quei 9 mesi finiranno in modo quasi tragico: in Serie A la, ormai solita, Juve precederà la Roma riprendendosi il primato e il 30/5/1984 si consumerà “la più grande tragedia di massa del popolo giallorosso” che condannera’ tutta la vita del protagonista con la finale persa ai rigori per 2-4 contro il Liverpool dopo l’1-1 dei 120 minuti nonostante Agostino abbia giocato una gara fantastica oltre a trasformare puntualmente il suo penalty ma alla fine ci sarà spazio solo per le lacrime del capitano unito al dolore di un’intera città (Di Bartolomei era cresciuto nella fede della “Lupa” grazie a suo padre Franco e regalare primati in Italia o Europa alla sua gente era il suo sogno fin da bambino soprattutto sentendo la maglia come una seconda pelle quando la indossava per quella piazza il cui umore gli entrava nelle ossa sentendosi uno di loro in tutto e per tutto). Intanto però viene stato ufficializzato che Liedholm se ne sarebbe tornato a Milanello per essere rimpiazzato dall’emergente Eriksson: il nuovo tecnico ritiene Di Bartolomei non adeguato al suo gioco veloce e riesce a farlo cedere sfruttando anche delle frizioni fra “Ago” e i figli del presidente Viola…la sua ultima apparizione con i colori porpora e oro sarà il 26/6/1984 in occasione della finale di ritorno di Coppa Italia Roma-Verona 1-0 con i tifosi che non accettano l’addio e gli dedicano il commovente striscione esposto in Curva Sud «TI HANNO TOLTO LA ROMA MA NON LA TUA CURVA» proprio nel momento in cui il capitano alzerà il titolo con la morte nel cuore dopo 12 anni avendo totalizzato 310 gettoni sommati a 69 firme con il n.10 sulle spalle.
Per l’inizio del nuovo torneo (1984/85) troviamo un Di Bartolomei diverso: l’adeguamento milanese è tardato di 16 anni essendo anche molto difficile e il 14/10/1984, per la V° gara stagionale il calendario segna Milan-Roma…Agostino si trova troppo presto ad affrontare il suo passato sportivo ed emotivo trovandosi in una situazione paradossale quando al 50° minuto sblocca il risultato per il 2-1 finale esultando rabbiosamente sotto la sua nuova tifoseria (forse per rivalsa verso la dirigenza, o per altre ragioni…non lo sapremo mai). Nel match di ritorno del 24/2/1985 la memoria dei suoi vecchi sostenitori rinfocola di rancore i cuori: Liedholm viene omaggiato con mazzi di fiori, cori, applausi ma il nostro protagonista riceverà quasi solo fischi e insulti poiché coloro che lo amavano incondizionatamente hanno letto come un tradimento la gioia di pochi mesi prima…verso la fine della contesa Bruno Conti subisce un brutto fallo proprio dal suo ex compagno e Graziani, ebbro di rabbia, si scaglia sull’avversario facendo degenerare tutto in rissa ed espulsione per i 2 coinvolti. Da quel momento passano 3 anni: i diavoli vogliono tornare ai propri fasti e a Milanello arrivano nomi importanti tipo Donadoni, Massaro oltre alla giovane bandiera Franco Baresi cresciuta nelle giovanili (riserva di Scirea in nazionale e predecessore di “Ago” nelle gerarchie nazionali oltre ad essere muto quasi come il centrocampista) ma di risultati abbiamo solo una finale di Coppa nazionale persa oltre a un gol nel derby (dopo i vari timbri nella stracittadina romana) sommati ad un simpatico aneddoto legato a Paolo Maldini…in un pre-partita lo stopper va da “Diba” (libero di giornata) e gli dice:

«Senti Diba, ma come giochiamo?»

«Io sto in mezzo e tu mi corri intorno.»

È l’estate del 1987 e a Milano arriva un allenatore rivoluzionario: Arrigo Sacchi, che lascia intendere da subito di non avere progetti per giocatori tecnici ma lenti…Agostino ha 32 anni e capisce subito che il suo tempo è terminato con 123 gettoni e 14 segnature.
Accetta quindi la corte del Cesena e vi trascorre la sua ultima esperienza di massima lega nel 1987/88 con minimo 25 presenze unite a 4 gol ancora da capitano salvando dalla retrocessione i suoi e ammettendo che la stabilizzazione in Romagna fu più semplice della precedente.
Nell’estate del 1988 la famiglia convince il nostro centrocampista a trasferirsi in Cilento (terra natale della moglie Marisa) mettendosi a disposizione della Salernitana: un piccolo club desideroso di tornare in Serie B dopo 23 anni con un comandante di primo ordine…ma pure qui i problemi saranno svariati: l’animo di Agostino è rimasto a Roma, l’allenatore lo tiene in panchina per motivi più sconosciuti che noti, la categoria minore è durissima soprattutto per un 33enne con una grande tentazione di ritiro prematuro. Nel Luglio 1989 il CT Leonardi viene esonerato dal presidente Soglia in favore di Ansaloni e Di Bartolomei diviene il fulcro del gioco granata in un centrocampo fatto di ottimi innesti come Della Monica, Donatelli, Pecoraro Scanio: sarà una festa…ogni settimana si registra il sold-out sia in casa che fuori per i campani e la giornata che segna il ritorno della Salernitana nel football d’elitè è il 27/5/1990 con la vittoria nello stadio di Brindisi alla penultima curva prima del traguardo…chi segnerà lo 0-1 decisivo su rigore? Ma Di Bartolomei naturalmente; il weekend successivo si gioca Salernitana-Taranto 0-0 (pugliesi capolisti) nel pomeriggio del 3/6/1990 che è anche l’ultima disputa giocata al “Vestuti”: l’anno dopo la nuova casa dei salernitani (molto più grande e spazioso) sarà l'”Arechi”. Durante il giro di campo con il bandierone granata (la sera, quando le immagini passeranno in tv, sembra quasi un review dell’Olimpico 7 anni addietro) Agostino annuncia il suo ritiro venendo subito cercato per fare l’opinionista RAI al mondiale casalingo che partirà 5 giorni dopo a seguito di un biennio fatto di circa 52 apparizioni oltre a 15 firme.
I suoi progetti futuri prevedono di dedicarsi alla moglie Marisa e ai figli Luca, Giammarco aprendo intanto una scuola calcio a San Marco di Castellabate dove insegnare il suo significato di sport ai giovani della provincia cilentana nonostante vari ostacoli burocratici oltre a buttare giù appunti, schizzi, disegni di tale tematica che in seguito saranno raccolti e catalogati dal figlio Luca divenendo un libro: il “Manuale del Calcio”.
Roma è ormai lontana ma il cuore di “Ago” batte solo in quella direzione mentre sembra che la sua vera tifoseria abbia dimenticato troppo presto il vecchio condottiero dello scudetto giallorosso e la sofferenza interiore di stare lontano dalla propria terra sperando lo stesso di tornare come dirigente iniziano a scavare una ferita sempre più profonda che lo annichilisce; tornerà nella capitale in poche occasioni: il funerale di Viola il 20/1/1991, l’addio di Conti del 23/5/1991, le varie ricorrenze di compleanni e feste…la famiglia ha la priorità ma il tormento dei fantasmi passati e la voglia di fare altro altrove non si placano (anzi, aumentano).
Finché non arriva un giorno, un maledetto giorno fatto di ricordi e rimpianti: il 30/5, il 30 Maggio 1994…sono passati esattamente 10 anni dalla maledetta finale persa a Roma con il Liverpool, Agostino Di Bartolomei decide che non può più sopportare il peso di quella vita, il dolore di quella finale, la lontananza dalla sua squadra e dalla sua città; il capitano silenzioso si è arreso alla partita più importante perché stavolta non riconosceva più l’avversario…la sua pistola (che si era procurato 20 anni prima come arma di difesa personale dalle tensioni con i tifosi più accesi) lo accompagna durante il suo ultimo viaggio. Fra le sue cose viene trovata una lettera con sopra scritto «Mi sento chiuso in un buco, non vogliono farmi rientrare nel mondo del calcio»…ma non si saprà mai realmente perché fece un gesto così estremo: la verità e troppo grande per stare in una facile definizione, e forse i motivi furono ancora di più di quelli pensati; al funerale ci stavano tutti, ma ormai era troppo tardi, il rimpianto e la solitudine quel 31/5/1994 piansero assieme.
Milano, Cesena, Salerno e, soprattutto Roma, non dimenticheranno mai un così grande esemplare di professionista…piace pensare a tutti che, quando la Roma vinse lo scudetto nel 2000/01, quando il Milan diveniva il club più vincente del pianeta, quando il Cesena tornò in Serie A nel 2009/10 dopo 20 stagioni oppure quando la Salernitana risalì dopo un lungo periodo di Lega Pro ci fosse anche lui ad esultare nella curva del cielo in un applauso di stelle.
Ciao Agostino, chi ti ha visto giocare non ti dimenticherà mai…Roma-Milan sarà la tua partita, goditela assieme a Viola e Liedholm dalla vostra nuova tribuna.

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