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Addio centravanti e spazio a più registi

ROMA – Non c’è mai da vergognarsi a cambiare. Chi sbaglia, non deve perserverare, ma semplicemente intervenire. Per cercare di risolvere la situazione, più o meno critica che sia. La Roma, all’inizio di questo 2016, è stata rigenerata proprio con alcuni aggiustamenti in corsa. L’insediamento di Spalletti ha sicuramente influito più di ogni altra novità e bisogna riconoscere esclusivamente alla proprietà Usa il merito di aver dato la spallata decisiva: Pallotta, anche se frenato almeno per 1 mese dai dirigenti italiani Baldissoni e Sabatini, ha avuto la forza di esonerare Garcia e di dar retta al suo amico Zecca che, dopo aver personalmente preso informazioni sul toscano, ha spinto per il ritorno di Lucio a Trigoria. La mossa, basta guardare la classifica (migliore di 1 anno fa: 3 punti in più), ha pagato (resta il rimpianto per il ritardo). Non è stata, però, l’unica. Perché, a conferma che la coperta giallorossa era corta e anche cucita male, gli acquisti di Zukanovic, Perotti ed El Shaarawy hanno inciso sul rendimento del gruppo (7 gol e 6 assist del trio nelle 7 vittorie). Se il presidente ha dato l’okay per investire su altri 3 giocatori per completare la rosa già abbondante in partenza, non bisogna dimenticare che altre modifiche hanno coinvolto direttamente la squadra. In allenamento e in partita. E qui si torna alla centralità dell’allenatore. Che si è preso la responsabilità di ogni iniziativa.

SENZA SOSTE  «È tosto, ci sta sempre dietro. Sta attentissimo a come ci comportiamo nel lavoro quotidiano. Con lui puoi parlare di tutto, ti protegge se fai quello che ti chiede. Se non lo fai invece può essere molto duro». L’identikit di Spalletti è disegnato da Pjanic. Lineare e sincero.

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