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Niente rinnovi per lui, Braafheid e Konko. L’uomo derby via con qualche amarezza

L’ultima pagina di un romanzo chiamato Stefano Mauri. Oggi scade il suo contratto, la Lazio ha deciso di voltare pagina, Bielsa fa la rivoluzione e non c’è posto per lui, Konko e Braafheid. Il capitano lascia la Biancoceleste, non per sua volontà, dopo 10 anni vissuti intensamente. Ha scritto capitoli memorabili, alcuni esaltanti altri drammatici: l’angoscia dell’anonimato no, non lo riguarda.

Personaggio controverso e leader dello spogliatoio, giocatore intelligente e tatticamente unico. Con la Lazio aveva conquistato la Nazionale, quando stava per spiccare il volo anche in azzurro il pasticciaccio brutto del calcioscommesse lo ha riportato a terra, e si è fatto male. Rinviato a giudizio per associazione a delinquere, affronterà il processo. Innocentisti e colpevolisti: ha diviso l’opionione pubblica, non la tifoseria laziale. Quella l’ha sostenuto sempre, compatta, anche quando – a Cremona – ha conosciuto l’incubo del carcere, dal 28 maggio al 4 giugno 2012, poi i domiciliari fino al 14. Hanno aspettato, i tifosi laziali, che scontasse la squalifica di 6 mesi per omessa denuncia: mai messo in dubbio il ruolo di capitano, nonostante tutto. Lotito gli ha dato fiducia, la gente pure. Merito anche dei gol nel derby: tre, sempre decisivi. Il ruolo di anti-Roma gli piaceva, una volta De Rossi lo colpì con un pugno e fu espulso: la Lazio vinse 3-2.

D’altronde il capitolo derby è il più emozionante del romanzo. Non a caso è proprio nella partita più attesa che Mauri torna in campo dopo la squalifica, il 9 febbraio 2014: finisce 0-0, ma gli applausi dei tifosi biancocelesti valgono più di una vittoria. Ed è il derby che gli regala la gioia più grande dei suoi 10 anni laziali: il 26 maggio 2013, ovviamente. È lui ad alzare la Coppa Italia, con un sorriso indimenticabile e diabolico, con i romanisti a piangere e i compagni ad abbracciarlo. Erano tempi di polemiche feroci perché i colpevolisti contestavano la sua presenza in campo. I tifosi avversari lo provocavano con cori e striscioni: “Dacci le quote” e così via. Proprio nei momenti topici del calvario giudiziario, il jolly brianzolo rispondeva con gol e prestazioni super. Alla fine saranno 303 le presenze in maglia biancoceleste, con 47 reti.

Il capitolo dei rimpianti è il penultimo: a sorpresa ad agosto 2015 il contratto gli viene rinnovato quando l’avventura sembrava al capolinea, ma la stagione è disastrosa. Lui non è più il capitano e la Lazio non è più la macchina da gol e spettacolo del campionato precedente. A 36 anni si aspettava un finale diverso, Stefano Mauri. Si consola pensando che magari tornerà da dirigente perché con la Lazio il legame resta forte, ma quello sarà un altro romanzo.

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