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MILANO – Dopo la II° Guerra Mondiale molti dei reduci dalle dittature europee del primo ‘900 (Italia, Germania, Spagna) fuggiranno oltreoceano per scappare dai processi in cui sarebbero stati imputati e si rifugeranno in Sudamerica soprattutto negli anni 1950 e 1960.
Proprio nel paese più gettonato da questi “esuli”, l’Argentina, verrà alla luce uno dei migliori attaccanti della storia del calcio nazionale: Ramòn Dìaz…nato nel freddo agosto del 1959 a La Rioja, capoluogo dell’omonima provincia situata a 430 km a ovest di Cordoba.
Viene adocchiato in età infantile dal più nobile club nazionale dell’epoca: il River Plate, dove militera’ da metà anni ’70 fino al 1982 (esordendo in massima lega nel 1978) collezionando 123 presenze e 57 reti ottenendo anche di arrivare in nazionale a giocare il mondiale del 1982 oltre a totalizzare 24 apparizioni e 10 gol uniti agli altri 8 marcati in Under-20 ma la sua parentesi nell'”albiceleste” è già finita ad appena 23 anni pure se il meglio deve ancora venire per quel magro e capelluto trequartista mancino implacabile sui calci piazzati, umile come pochi con un evidente amore per il sacrificio e la corsa oltre a un tiro che non lasciava speranze…
Nell’estate dopo la Coppa FIFA giocata in Spagna riesce a centrare l’obiettivo di approdare nel miglior torneo possibile: la Serie A…a tesserarlo è il Napoli di Ferlaino e Pesaola ma purtroppo il suo unico anno in azzurro non gli renderà giustizia portandolo a realizzare solo 3 marcature in 25 apparizioni oltre ad un mesto piazzamento a centro-classifica.
Nel luglio 1983 resta in Campania ma decide di cambiare vessillo accasandosi all’Avellino, dove resterà per 3 annate ottenendo 78 gettoni e 22 timbri ma anche qui dovrà accontentarsi di dedicare il suo lavoro solo alla salvezza oltre a non punire mai la sua vecchia squadra.
Un mese dopo i mondiali in Messico, nel luglio 1986, Pontello sborsa 16 miliardi di lire per vestirlo di viola e fargli firmare un biennale che frutterà 53 partite e 17 centri ma neanche una rete a Napoli ed Avellino nonostante una buonissima compagine alle sue spalle.
La sua successiva meta è la Milano nerazzurra: l’estate del 1988 viene infatti contattato per rimpiazzare Rabah Madjer (“il tacco di Allah”), fantasista magrebino risultato non-idoneo al test medico pure se il contratto prevede un prestito annuale poiché l’anno successivo la sua posizione sarebbe stata presa da Klinsmann ma la stagione 1988/1989 risulterà la migliore esperienza del campione: vincerà lo “scudetto dei record” con 58 punti su 68 disponibili a +11 sui suoi ex compagni partenopei capeggiati dal connazionale Maradona ergendosi a protagonista assoluto con 12 gol e 10 assist (migliore media fra tutti i bomber in quella stagione) di una squadra che poteva contare su un presidente presente come Pellegrini, un tecnico vincente come Trapattoni, 5 nazionali italiani (Zenga, Bergomi, Ferri, Berti, Serena), 2 nazionali tedeschi (Brehme, Matthaus) nell’Era dei 3 stranieri tesserabili per ogni club e forse non fu un caso che lascerà l’Italia dopo aver chiuso il cerchio fra la sua prima e ultima maglia indossate.
Le sue esperienze successive saranno Monaco (50 gare e 24 gol), ancora River Plate (52 gare e 27 gol), Yokohama Marinos (62 gare e 52 gol) con ritiro nel 1994 ma ormai il bomber ha dato tutto potendosi così dedicare alla sua lunga e altalenante carriera da allenatore fra Europa, America, Asia che ancora oggi gli sta dando comunque discrete soddisfazioni.
Una vita vissuta da “eroe dei 2 mondi”…dall’Argentina all’Italia in un batter d’occhio venendo applaudito ed amato da tutte le sue curve grazie alla propria cinicità su punizione e rigore oltre all’enorme capacità di regalare palloni solo da spingere in rete tramite un sinistro divino sia su azione che su corner senza mai dimenticare l’immensa umiltà e grinta da usare nei momenti di difficoltà: Ramòn Dìaz, il “Garibaldi” di La Rioja.

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