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L’ex attaccante giallorosso e ora d.s. del Bayer: “Arrivai nell’87’, poi volevo mollare ma Viola mi bloccò. Al mio compleanno c’era pure Renato Zero. Ma quando perdevamo dalla Lazio erano guai…”

MILANO – L’ultima volta all’Olimpico finì nell’inquadratura del megaschermo e piovvero fischi. Tanti. Era agosto, prima del playoff di Champions, e i tifosi della Lazio certificarono l’anima ancora giallorossa di Rudi Voeller, più che la sua veste di dirigente del Bayer. Mercoledì “il tedesco che vola”, da noto coro della curva romanista, sarà invece un avversario. Roma e Leverkusen hanno perso in campionato, ma adesso la Champions impone di voltare pagina, anche se ripensa al 4-4 dell’andata. “Sono da qualche annetto nel calcio, ho visto di tutto ma quella sera è stata una partita pazzesca, uno spettacolo per i tifosi. È più felice chi segna per ultimo, fosse finita 2-2 da 2-0 per noi sarebbe stata più contenta la Roma che però ha dimostrato di saper giocare bene, di essere la migliore in Italia e di avere tutte le possibilità di vincere il campionato”.

Sarà una partita diversa?
“Non è detto che ci sia più prudenza, le dinamiche non sono calcolabili, può finire 0-0 o 1-0 o 0-1, noi quattro giorni dopo abbiamo fatto la stessa gara contro lo Stoccarda, però vincendo 4-3. Se non perdiamo all’Olimpico avremo noi un piccolo vantaggio per la qualificazione, ma sarà un match difficile”.

Lei ha vissuto la Roma e la città da calciatore, allenatore e da marito di una romana, tre prospettive diverse per tastare l’ambiente. Quando arrivò era molto diverso da oggi?
“Roma non cambia mai, era così anche nel 1987, quasi trent’anni fa: vive con il grande cuore dei tifosi. Ho avuto esperienze splendide: arrivavo dal Nord della Germania, mi sono trovato nel Sud dell’Italia. A Brema ero amato dalla gente, certo, ma quando sono sbarcato all’aeroporto c’erano centinaia di persone, poi anche a Trigoria. Era tutta un’altra situazione rispetto a quella tedesca”.

Le ricordano spesso il gol decisivo nel derby del marzo 1990. È il più bello?
“Forse quello era molto importante per i tifosi. Ma io ricordo come se fosse oggi quello segnato alla Fiorentina 4-0 nella prima giornata dopo il Mondiale, che avevo vinto proprio all’Olimpico: lancio di Desideri, girata al volo da oltre dieci metri, palla sull’incrocio opposto. Che roba”.

Cosa ha imparato a Roma?
“Il significato romano della parola derby. A Brema c’era rivalità con l’Amburgo, se perdevi il derby del Nord però si sentiva la delusione e niente altro. A Roma dopo un k.o. con gol di Di Canio ci allenammo con la polizia fuori da Trigoria”.

La seconda Roma, quella da allenatore. Disse: vengo per aiutare degli amici. Perché lasciò dopo neanche un mese?
“Avevo lasciato la nazionale in giugno, volevo fermarmi e rilassarmi. Solo due squadre mi avrebbero fatto cambiare idea, Leverkusen e Roma. A fine agosto successe il dramma di Prandelli, le dimissioni per stare accanto alla moglie malata. Mi chiamò Totti, mi chiamò Baldini, dovevo decidere in fretta, non potevo portare un assistente tedesco come Skibbe, ero poco preparato sul calcio italiano, diverso da 17 anni prima. Se è andata così è solo colpa mia. Ero la persona sbagliata nel posto e nel momento sbagliato. Pensavano arrivasse il tedesco che fa il duro, ma non ne sono capace”.

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