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ROMA – Il Brasile viene considerato da sempre la patria del calcio bello e vissuto con allegria, quel calcio gioioso fatto di musica e spensieratezza senza tatticismi o ruoli prestabiliti.

Vi fu una generazione carioca, quella che giocò il mondiale 1982 nonché successiva a quella di Pelè, che sembrò poter egemonizzare la coppa del mondo facendo prevalere il dribbling sulla marcatura e la voglia di segnare contro la paura di difendere…in quella meravigliosa selezione giocava uno dei giocatori che più di tutti interpretavano questo gioco nella maniera maggiormente libera e spontanea: Toninho Cerezo.

Il nostro protagonista nacque a Belo Horizonte il 21/4/55 (una data che ritornerà molto quando si trasferirà in Italia sapendo la storia della 1° metropoli in cui sarà ospitato…) da una famiglia di artisti circensi ed erediterà al meglio le qualità da funambolo riuscendo ad imporsi nel team della sua città, l’Atletico Mineiro, e il Nacional, riuscendo a mettere insieme 173 presenze e 8 gol nell’arco di 12 anni (1971-1983) oltre a fare incetta di trofei.

La svolta della sua carriera arriva nel 1983, quando viene tesserato dalla Roma di Viola per 6 miliardi su consiglio del suo connazionale Falcao al fine di rimpiazzare Prohaska poiché, all’epoca, erano permessi solo 2 stranieri da poter mettere sotto contratto ma la trattativa si rivelerà un’agonia: il 9/6/83 il presidente della federazione Sordillo decide di chiudere senza preavviso le frontiere con deroga solo per i club neo-promossi e per chi fosse riuscito a depositare tutte le carte relative entro 4 giorni…una manovra perfetta per sbarrare la strada a Udinese e Roma nella volontà di portare Zico e Cerezo in favore di chi si era già procurato tutti i non italiani possibili; i 2 team hanno chiuso i 2 acquisti e la FIGC li ha bocciati il 2/7/1983 portando a violente manifestazioni in piazza (in Friuli si griderà, letteralmente, alla secessione verso l’Austria in caso di mancato arrivo del giocatore desiderato: “O ZICO O AUSTRIA!!!”)…servirà l’intervento del presidente della repubblica Sandro Pertini in persona a dare una svolta alla vicenda facendo in modo che l’organo federale nominasse una giuria di 3 “saggi” che accogliessero gli appelli presentati dai team. L’ambientamento nella capitale sarà, inoltre, assai difficile poiché il regista all’epoca era abituato a giocare con i tacchetti di gomma mentre da noi si usavano esclusivamente quelli in plastica: verrà subito bollato come “bidone” e “pippa” da una tifoseria che non si è mai tolta questo brutto vizio di agire per partito preso senza possibilità di cambiare idea oltre a dover ricoprire il ruolo di mediano in un reparto con Falcao/Di Bartolomei/Ancelotti/ Conti (finchè tutti e 5 staranno a disposizione, Liedholm farà funzionare tutto l’apparato tattico in maniera perfetta nonostante si parli di 4 registi sommati ad 1 ala ma che, con la strategia della zona, funzionavano perfettamente bene: Capitan “Diba” davanti alla difesa a fare da prima fonte di gioco oltre a ricoprire la mansione di diga, i 2 carioca a far girare l’ingranaggio come registi veri e propri, Ancelotti sul lato destro come esterno ma anche come frangiflutti recupera palloni, Conti a spingere come un indemoniato dal lato mancino nella speranza di costituire la prima arma di offesa assieme al bomber Pruzzo (o all’alternativa Graziani)…il tutto condito da una capacità paranormale di palleggio e da una variegata competenza in fatto di inserimenti senza palla da parte di tutti in favore di un 4-5-1 di pura zona che solo degli inconvenienti extra-campo porteranno a renderli inutilizzabili: l’infortunio gravissimo all’altro ginocchio di Ancelotti 24 mesi dopo il precedente ed una continua rotazione delle forze in causa che porterà al disorientamento di tanti effettivi). Vivrà 3 stagioni ottime nel periodo 1983-86 ottenendo la Coppa Italia del 1984 appena un mese dopo la tragica finale di Coppa dei campioni persa contro il Liverpool all'”Olimpico” nella fatidica data del 30/5 e in cui lui non potrà tirare ai rigori causa i crampi venutigli al 115° che lo costringeranno ad accodarsi agli indisponibili Ancelotti/Maldera/Pruzzo…chi visse quella notte ancora vive con il dubbio di come sarebbe andata se Toninho avesse tirato dagli 11 metri ma la storia non dà controprove e la domanda rimarrà tale in eterno; il suo addio si consuma nel 1986 ed è qui che troviamo un’ulteriore vicenda assai curiosa: pur essendo amatissimo dalla curva (che gli dedicherà il commovente striscione <<VAI NESSA TONINHO, LA TORCIDA TE DONA LA FORCA>> in un momento di grossa difficoltà successivo ad un Roma-Inter 3-1 in cui sbagliò 2 rigori, ha rotto con la dirigenza e sta completando le pratiche per andare al Milan (dopo essere già stato cercato assieme alla Roma 3 anni addietro) dopo gli imminenti mondiali in Messico da giocare con la “seleçao”…un infortunio muscolare, però, lo costringe a saltare il torneo e decide di tornare in Italia per prendere parte alla finale di ritorno di coppa nazionale Roma-Sampdoria del 14/6 contando sulle defezioni di Boniek (arruolato da capitano polacco)/Nela/Tancredi/Conti/Ancelotti (tutti inseriti nel gruppo azzurro a servizio di Bearzot) e su una formazione imbottita di giovani come Desideri o Impallomeni con Di Carlo oltre a sapere che bisogna rimontare il 2-1 dell’andata; mancano circa 8 minuti alla fine del match (inchiodato sull’1-0 grazie al rigore segnato dal medesimo Desideri poco prima dell’intervallo: già sufficiente a concretizzare il ribaltone) quando l’altro svedese Eriksson (successore al tecnico che lo aveva portato qui, Liedholm) lo butta dentro sperando di fargli tenere qualche pallone che desse il via a dei contropiedi decisivi…proprio ora il calcio regala un’ulteriore pagina di romanticismo: corre il 90° quando arriva un cross della destra su cui il brasiliano segna il 2-0 definitivo incornando senza chance per Pagliuca portando anche alle lacrime del telecronista di “Teleroma 56” (canale privato che trasmise assieme alla Rai) in diretta: Toninho Cerezo regala il trofeo alla sua Roma nel suo ultimo giro di lancetta con quella maglia e dopo aver perso 2 scudetti per gare infami come quelle con Pisa/Avellino/Catania nel 1984 e con il Lecce/Como nel mese passato pur avendo totalizzato la bellezza di 70 apparizioni sommate a 13 marcature riuscendo a far parte della più forte “Magica Roma” di sempre.

Si trasferisce proprio alla Sampdoria rimanendovi fino al 1992 ergendosi a uomo di fiducia di Boskov e costituendo la “spina dorsale” della migliore formazione blucerchiata di sempre assieme a Pagliuca/Vierchowod/Pellegrini I°/Pari/Lombardo/Dossena/Mancini/Vialli: riuscirà a vincere quel tanto agognato scudetto, che gli era sfuggito nella città eterna, nel 1991 assieme a 4 affermazioni territoriali (fra le quali la Supercoppa nazionale nel 1991 contro la sua ex squadra, che lo aveva privato della 3° coppa nazionale appena dopo il tricolore, oltre alle coppe Italia 1988, 1989, 1994) ma sarà enorme, invece, il rimpianto per la 2° finale di Coppa Campioni sfuggitagli, ai supplementari contro il Barcellona, sotto il cielo londinese la sera del 20/5/92; quest’esperienza gli regalerà 145 gettoni+14 segnature.

Il suo soggiorno all’estero, costellato di simpatici aneddoti tipo l’arrivo a Trigoria in bicicletta e gli scherzi di Bruno Conti o la celebre battuta in cui viene citato nel film del 1983 “Vacanze di Natale”:<<MA SECONDO TE, COME LO PASSA IL CAPODANNO TONINHO CEREZO? SECONDO ME DORME, PERCHE’ E’ UN PROFESSIONISTA>>, si conclude qui avendogli regalato la possibilità di giocare contro tutti i più grossi fuoriclasse di allora fra cui i connazionali Falcao-Zico-Socrates-Junior-Dirceu-Batista (tutti in serie A nel 1984/85, rispettivamente, con Roma, Udinese, Fiorentina, Torino, Verona, Lazio) oltre ai vari Platini (leggenda juventina), Maradona (icona del Napoli più forte di tutti i tempi), Passarella (suo grande rivale con l’argentina ma che fece molto bene fra Fiorentina e Inter), Briegel (altra stella del Verona con origine tedesca), gli olandesi Gullit-Van Basten o i tedeschi Brehme/Matthaurs/Klinsmann.

Chiude la carriera tornando nella sua terra d’origine per tentare poi la scalata da tecnico ma con scarsi risultati…

Il suo legame maggiormente noto dal punto di vista affettivo appartiene alla nazionale brasiliana (pur non portando mai a casa trofei), con cui gioca 57 volte al prezzo di soli 5 gol riuscendo a partecipare ai mondiali del 1978 in cui si aggiudicherà il bronzo battendo l’Italia nella finalina di consolazione…ma sarà nel 1982 che vivrà la sua più grossa occasione persa: con un team da sogno arriva di slancio a giocarsi l’accesso alle semifinali contro l’Italia in una 2° drammatica partita del 2° girone potendo contare sui fenomeni sopracitati (Falcao/Zico/Socrates/Junior/Batista/Dirceu stessi, da aggiungere a Oscar/Luisinho/Eder/Isidoro/Dinamite) dovendosi, purtroppo per loro ma per fortuna nostra, arrendere solo alla sorte perdendo 3-2 ma esprimendo il cosiddetto “futebol bailado” a ritmo di samba nella miglior forma mai vista.

Regista costretto ad adattarsi a mediano in tutte le squadre della propria vita a causa del talento sovrabbondante ma con piedi da “cerebro” (“cervello” nella lingua dei verdeoro) e classe da fenomeno per un giocatore appartenente come pochi alla categoria dei pensatori e non corridori oltre che rimasto nel cuore di tutte le sue tifoserie sia nel vecchio continente che oltreoceano: Toninho Cerezo, colui che viveva il calcio come una libertà. 

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